Lezioni di Vita

Se uno ti tra un colpo alto, devi abbassare la testa,
Ma se ti tira un colpo basso .... TU FAI UN SALTO IN ALTO


WANDA POLTAWSKA. IL DONO STRAORDINARIO DELL’AMICIZIA CRISTIANA
(di Francesco Bellotti) - 26/7/2010 12:18

LETTURE - “La questione del matrimonio è sempre stata di primo piano nella mia visione. Da qui la necessità della pastorale familiare e dell’apostolato dei laici. Per guidare queste attività bisogna avere una visione totalmente corretta dei valori. Tu la possiedi, come pochi altri. E una dedizione alla causa totale e che non si risparmia”. Chi scrive è il Vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, assegnando alla destinataria il compito di “preparare le persone all’azione” nell’ambito dell’ “Istituto della Famiglia”. Con una nota finale: “Vedo con particolare chiarezza qui, a Jasna Gora, il bisogno di creare una base soprannaturale per questa attività. Una base di preghiera e sacrificio, per la quale bisogna reclutare gente, se si vogliono frutti autentici”. La destinataria è Wanda Poltawska, la cosiddetta “amica” di Giovanni Paolo II. In una società imbevuta di sesso e dimentica del legame con Dio, l’equivoco è immediato. Ma “Diario di un’amicizia” racconta la straordinaria fecondità di un’amicizia cristiana. E’ l’avventura di una persona che comprende di non poter “pienamente capire e possedere se stessa senza l’aiuto di Dio”. E l’aiuto di Dio si manifesta in Giovanni Paolo II, che le scrive: “Quando Andrzej (il marito, ndr) mi disse «Wanda è stata a Ravensbruck», è nata la convinzione che Dio mi dava te, affinché in un certo senso io «compensassi» quello che avevi sofferto lì: tu hai sofferto al mio posto”.

Il campo di concentramento è disumano e la giovane si salva con la “curiosità cristiana” che la spinge a studiare le persone (immagine di Dio?) e a prevederne il comportamento. I carcerieri sono crudeli, ma incredibilmente affettuosi con i figli. E’ la stessa inspiegabile contraddizione che Wanda vedrà, anni dopo, nelle “belle parole sulla libertà della donna, delle femministe, che condannavano a morte un bambino innocente”. Non è la prigionia del corpo che vincola la libertà dell’uomo. L’uomo è un enigma di cui, finita la guerra, Wanda cerca la soluzione. E’un’inquietudine che la spinge agli studi in medicina e psicologia, e la porta a incomprensioni anche in confessionale. Finché non incontra don Karol, sacerdote “non indifferente all’anima che gli si era affidata”, che le dice: “Va’ alla messa, perché è fonte di grazia”.

Inizia così uno straordinario cammino che, attraverso la prova di continue sofferenze (tra cui anche un tumore guarito per intercessione di Padre Pio, che alla richiesta del giovane prete polacco dice “Questo è uno a cui non si può dir di no”), la porta a vivere come “strumento della grazia di Dio: ci può essere un destino più grande per l’uomo?”. Non assecondando il mondo, ma “riflettendo sul mio lavoro attraverso il prisma della passione di Cristo”, mettendo Cristo in ogni rapporto con le persone e la realtà, compresi gli incantevoli paesaggi dei monti Beschidi, segno dell’amore del Padre. Wanda “inserisce la fede nella ragione” (unisce – scrive il Papa – “l’esperienza con la precisione della visione delle cose alla luce della fede e della dottrina”) e segue la sua vocazione nel “campo dell’Humanae Vitae”, “a cavallo tra medicina e pastorale”. La santità, destino dell’uomo, non è “fuga dal corpo”. L’amore – l’amore bello, vero, a cui tutti siamo attratti – è responsabilità, abnegazione, sacrificio. E’ingannevole separare l’istinto dall’uomo ed esaltarlo. Il corpo deve essere educato nella verginità, come nello sport. La purezza non è un limite alla libertà. Perché l’uomo ha “una dimensione divina che è più grande di ogni concezione di lui”. Da qui, il “rispetto per la debolezza del corpo”, perché “le opere umane, l’intelligenza e le forze non danno la vicinanza a Cristo che dà la debolezza del corpo”. E questa non è una pia credenza o un’ideologia, ma un’esperienza che si vive, e non si riesce neanche a raccontare.

Nel cammino, fondamentale è la presenza dei sacerdoti, “non tanto per l’esempio, quanto per le mani che portano Dio”. E dall’epistolario emerge la figura di Karol Wojtyla, pastore dell’anima, incrollabilmente fedele (anche da Papa!) al “mio «metodo» per essere fratello” – cioè proporre ai Poltawski spunti per la meditazione quotidiana, e poi leggere i loro commenti, appuntarli e rispondere. Un amico attento e affettuoso della famiglia, che guida e incoraggia. Con una consapevolezza, della quale abbiamo conosciuto tutti la sua grande testimonianza: “Tutto posso in colui che mi dà forza”, perché “tutto è nelle sue mani (anche se a noi a volte dovesse sfuggire di mano)”.

Fonte: http://www.papaboys.it/