LA FEDE DEI PICCOLI


ELOGIO DELLA DEVOZIONE POPOLARE
di Georg Ratzinger


Pietà popolare e gioventù vanno d’accordo? I giovani, possono farsene ancora qualcosa della processione del Corpus Domini, dei pellegrinaggi mariani o della venerazione delle reliquie? Sì, possono! E c’è un bel libro, «La fede dei piccoli», che ne è la prova. L’autrice, Elisabeth von Thurn und Taxis, è una giovane donna moderna. Cresciuta a Ratisbona, è andata a scuola a Londra, ha studiato a Parigi e ha vissuto a New York: nel mondo è di casa.Tanto più positivo è il fatto che una come lei si occupi di pietà popolare. Infatti oggi si scri-ve ben poco su questo tema. E poi la pietà popolare è in certo qual modo messa ai margini dalla pietà liturgica. Quest’ultima è naturalmente molto importante. Ma la pietà liturgica ha bisogno di essere completata dalla pietà popolare alla quale alcuni guardano invece con una certa alterigia. Perché, invece, la devozione popolare appartiene in modo primario alla nostra fede? La risposta è molto semplice: ciò che è particolarmente bello nella fede cattolica sono gli elementi che ne sollecitano i sensi. La nostra fede non si limita alla preghiera, all’interiorità e alla razionalità. La nostra fede afferra l’uomo intero. Tutto l’uomo è chiamato alla santità, e così egli deve tendervi attivamente con tutti i suoi sensi.Molti sacerdoti aspirano ad essere 'moderni', 'al passo coi tempi ', per usare solo alcune tra le espressioni oggi più in voga. Credono che la pietà popolare sia qualcosa di superato e, passo dopo passo, la espellono dalla vita della Chiesa. Il protestantesimo ha già abbandonato questa forma di pietà. Per i cristiani evangelici la Chiesa è presente unicamente lì dove si prega e dove vengono amministrati i sacramenti. Ma così si dimentica che la Chiesa è una realtà sempre presente che riempie tutta la nostra vita e che aspira a coinvolgerla integralmente. Purtroppo una simile tendenza ha cominciato a prender piede anche tra noi cattolici. Ci accorgiamo, però, che lì dove viene praticata solo una 'religione razionale', la fede perde forza e, prima o poi, scompare del tutto.La fede non è un fatto solamente razionale; necessita anche di espressioni semplici e veraci, presenti sin dall’inizio e delle quali l’uomo avrà sempre bisogno. Proprio per noi cristiani esse sono fondamentali.La pietà popolare è un tesoro della Chiesa. Ed allora è tanto più importante opporsi in modo buono e appropriato alla sua rimozione. Dico questo pensando proprio ai giovani. Ben presto si accorgerebbero di cosa ha perso la nostra fede se non la si potesse più 'toccare con mano', se non coinvolgesse più l’uomo intero.In Baviera, la mia terra, la pietà popolare ha da sempre un ruolo importante. Ai bavaresi l’elemento puramente razionale importa meno. Per essi in primo piano sta ciò che è percepibile con i sensi.Per questo in Baviera la pietà popolare ha un posto particolare nella vita religiosa delle persone.Certo, oggi a causa della grande mobilità dei singoli diviene più difficile mantenere in vita tradizioni preziose. E tuttavia, più la vita diviene frenetica, più gli uomini hanno bisogno della loro patria, dei propri riti e usi. Per questo è tanto importante che la pietà popolare continui a essere curata e alimentata con entusiasmo, così che possano goderne anche le generazioni future. La fede rimane viva solo se si rivolge a tutto l’uomo. E questo è il messaggio che rivolgo ai giovani cristiani di oggi. E così sono particolarmente contento del fatto che una giovane donna moderna, una giovane scrittrice, la voglia far conoscere e amare proprio alla sua generazione, mostrando questo: la pietà popolare ci avvicina a Gesù Cristo.


Nota di BastaBugie: questo articolo è tratto dalla prefazione al libro "La fede dei piccoli" della Libreria Editrice Vaticana (2010)

da Avvenire, 9 dicembre 2010
Pubblicato su BASTABUGIE n.173

NOVENA DI NATALE 2010

16 Dicembre
Ecco, verrà il Re, il Signore della terra, che toglierà il giogo della nostra schiavitù.
Salmo 29 (30)
Ant. - Ti esalterò, Signore, perché mi hai sollevato

Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato
e su di me non hai lasciato esultare i nemici.
Signore Dio mio,
a te ho gridato e mi hai guarito.
Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
rendete grazie al suo santo nome,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera sopraggiunge il pianto
e al mattino, ecco la gioia.
Nella mia prosperità ho detto:
«Nulla mi farà vacillare!».
Nella tua bontà, o Signore,
mi hai posto su un monte sicuro;
ma quando hai nascosto il tuo volto,
io sono stato turbato.
A te grido, Signore,
chiedo aiuto al mio Dio.
Quale vantaggio dalla mia morte,
dalla mia discesa nella tomba?
Ti potrà forse lodare la polvere
e proclamare la tua fedeltà?
Ascolta, Signore, abbi misericordia,
Signore, vieni in mio aiuto.
Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Signore, mio Dio, ti loderò per sempre.

Parola d'ordine?!... METTERE ORDINE!


Troppo a lungo, Signore,
sono stata lontana dalla mia anima.

I rovi hanno preso il posto delle pervinche
e le ortiche hanno soffocato la verbena.
In questo giardino non mi ritrovo più.

Sono scomparsi i fiori che avevo seminato,
il prato che avevo curato e le erbe officinali che avevo protetto.

Donami Tu un decespugliaCuore per fare pulizia
su questo terreno che non piace a nessuno
e che offre radici solo ad un’erba scura e amara.

Ho nostalgia di una carità rigogliosa,
di una speranza colorata
e di una fede dal profumo inebriante.

Aiutami, Signore, a pulire questo giardino.
Aiutami a far pulizia nella mia anima.


Emily Schenker

IMPARARE A PREGARE...


Quando la sua preghiera

diventò sempre più devota e interiore,
egli aveva da dire sempre meno.
Alla fine tacque completamente.
Diventò
ciò che possibilmente è un opposto
ancora più grande al parlare,
diventò un ascoltatore.
Prima pensava che pregare
fosse parlare,
ma poi imparò
che pregare non è solo tacere
ma anche ascoltare.
Ed è così:
pregare non significa ascoltare
noi stessi mentre parliamo.
Pregare vuol dire
diventare quieti,
stare in silenzio e aspettare
fino a quando chi prega sente Dio.


(Soren KierKegaard)

Mons. Padovese, Vicario apostolico dell'Anatolia, ha versato il suo sangue nel giorno del "Corpus Domini" nel sud della Turchia.



Nel giorno del Corpus Domini, il corpo di Cristo ha versato altro sangue. Sangue innocente, sangue sacerdotale.
Sangue che bagna l’ipocrisia di chi preferisce tacere del presente per rivangare il passato.
O che tace un passato di morti cristiane (gli armeni) o un presente di vessazioni islamiche (i curdi) per portare a casa il risultato, economico, militare, religioso…
Sangue che lava il peccato di altri sacerdoti risultati di scandalo.
Sangue coraggioso, in un mondo di codardi, forti coi deboli e deboli coi forti.
Un mondo che ama creare nemici, per campare sui costi delle contrapposizioni, con le loro rendite di posizione, a danno dei rispettivi popoli, tutti quanti.
C’è chi farà passare questo omicidio per la follia di un singolo (prima stranezza: un uomo non estraneo, lungamente al fianco del vescovo morto), e c’è chi lo farà passare come argomento per screditare un popolo intero: probabilmente la verità piena sul fatto in se stesso non la sapremo mai. Troppi interessi sanno come portare a guardare da una parte per non essere costretti a vedere cosa c’è dall’altra…
Le circostanze sono inquietanti.
Alla vigilia di un viaggio papale a Cipro.
Alla vigilia di un Sinodo sul Medio oriente.
Nel contesto di quello che è capitato ad una nave turca.
Nel giorno in cui la Santa Sede chiede di togliere il blocco a Gaza.
Nella settimana aperta da recrudescenze nella polemica sulla pedofilia.
Nel momento in cui la Turchia (che è nella Nato, vorrebbe entrare in Europa e stipula accordi con l’Iran) sente sinistri scricchiolii in casa propria a proposito della leadership di Erdogan, evidentemente scomoda.
Mons. Luigi Padovese, con raffinate ragioni, non banali ed assai realistiche, per il bene comune e per amore del suo piccolo gregge (30000 cristiani cattolici su 70 milioni di turchi, quando un secolo fa erano il 25% della popolazione, allora di 10 milioni di anime) era un fautore della Turchia in Europa, anche a beneficio della sua esigua minoranza.
Mons. Luigi Padovese visse con equilibrio e saggezza il martirio di don Santoro, altro episodio oscuro e doloroso di una terra oggi ostile ai cristiani, tanto ostile quanto fu fertile di santità all’inizio del cristianesimo.
La Turchia ha incrociato la vita ecclesiale anche con la nebulosa e sospetta figura di Alì Agca, in un contesto, quello turco, dove amici, nemici, amici degli amici e nemici dei nemici, si intrecciano pericolosamente e con modalità e giochi ben più sottotraccia delle pessime semplificazioni della nostra stampa addomesticata.
Piangiamo un vescovo morto; il sangue dei martire genera sempre la fede. Il seme che muore è quello che rende il raccolto fertile. Ma non inaridiamo il terreno azzerando la voglia di capire. Dissodiamolo, piuttosto, bagnandolo di lacrime, di sudore, persino di sangue, ma disinquinandolo dall’ipocrisia e dalle falsità.
Che possono venire dal fondamentalismo islamico, come dal partito dei nipotini di Ataturk, coi rispettivi sponsor.
Che Mons. Padovese, che amava Cristo quanto ha poi voluto bene ai turchi, dal paradiso interceda per tutti noi. Perchè in Turchia è in corso un gioco che ci coinvolge tutti. E perchè tutti dobbiamo vigilare, specie sulle semplificazioni. E’ tutto molto più complesso. Diabolicamente. Ma alla fine il bene prevale. Questo ulteriore tributo di sangue innocente, di sangue martire, si ritorcerà contro il Falsario, quello di sempre.
Pubblicato da mic a 11:18 PM

SATANA HA PAURA DI BENEDETTO XVI

giovedì 05 giugno 2008
"Lo odio.... non lo sopporto più!!"
Questa interessante ed inequivocabile esternazione è uscita dalla bocca di una donna sottoposta ad esorcismo in una chiesa romana. Era presente Gianluca Barile di Petrus, quotidiano on line, che ha riportato il fatto. Per l'esattezza, il demonio ha detto: "Lo odio, non lo sopporto più: ogni sua parola, ogni suo gesto e ogni sua benedizione rappresentano un esorcismo...".
Forse non tutti sanno che questo Papa non ha mai fatto mistero sull'esistenza del demonio, dell'Inferno e del grave pericolo che corre l'uomo di oggi di finirci dentro per tutta l'eternità! Durante la visita ad una parrocchia di Roma, il Papa ebbe a dire: "Per quanti continuano a peccare senza mostrare nessuna forma di pentimento, la prospettiva è la dannazione eterna, l'Inferno, perché l'attaccamento al peccato può condurci al fallimento della nostra esistenza. E’ il tragico destino che spetta a chi vive nel peccato senza invocare Dio. Solo il perdono divino ci dà la forza di resistere al male e non peccare più. Gesù è venuto per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l'Inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore".E' facile cadere nell'errore di credere che i richiami riguardino sempre "gli altri". Per restare nel tema, quanta gente ricorre ai tarocchi, ai medium, partecipa a sedute spiritiche o addirittura a messe nere, ordina fatture e malocchio, interroga l'oroscopo... Sono tutte azioni che spalancano la porta dell'anima al demonio e poi, per cacciarlo, bisogna sudare sette camicie tra esorcismi, preghiere, sacrifici e... tanto tempo. Molti, troppi snobbano le catechesi di padre Amort e le testimonianze di monsignor Gemma. Si pensa, forse, che la tecnologia abbia sconfitto il diavolo, mentre è proprio con i moderni mezzi di comunicazione che è diventato più forte. E non cessa mai di tentare e la Chiesa lo sa. Per questo una delle prime preghiere, l'Ave Maria, recita: "...prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte". Satana fino all'ultimo momento non rinuncia di portarsi via le anime. E' una lotta continua e lui conosce bene le nostre stanchezze, i nostri rinvii, la nostra tiepidezza, i nostri dubbi: tutti atteggiamenti che gli facilitano il lavoro.

Mario Girardello
http://teleamore.newsoftware.tv/

BLOG di www.maranatha.it: ALTER CHRISTUS

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Aspettando 2 Giugno 2010

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore».
E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!

Queste parole del Salmo 122 mi vengono in mente quando penso al prossimo incontro degli Amici del Carmelo a Terni nella Basilica S. Valentino.


















... e il Salmo:

... sia pace a coloro che ti amano,...
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!». ...

Salì al cielo come primizia


Scritto da Administrator di:
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sabato 15 maggio 2010
di Manuel Nin

Nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione la festa dell'Ascensione del Signore è attestata già in Eusebio di Cesarea intorno al 325; un secolo e mezzo più tardi Egeria parla di una celebrazione a Betlemme, e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo e dove invece il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo dell'Ascensione e la lettura del vangelo viene fatta la vigilia della Pentecoste. Per la festa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo (e Agostino in ambito latino) hanno omelie.
La tradizione siro-occidentale collega molto strettamente l'Incarnazione, la discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione: "Oggi il Cristo Dio si innalza dal monte degli ulivi fino al suo Padre glorioso. Oggi gli angeli fanno conoscere agli apostoli il grande mistero della seconda venuta di Cristo. Noi lo vedremo coi nostri occhi di carne". Cristo, salendo in cielo con l'umanità assunta da noi, la fa entrare nel luogo santo, la glorifica e la porta nel paradiso: "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso possesso della dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto le porte che Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia. Ci hai fatti sedere alla destra di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare, il corpo umano che avevi preso da noi".
Tutti noi redenti, portati con Cristo in cielo, diventiamo offerta al Padre. Questo è un aspetto che si ritrova molto chiaramente nella tradizione siro-orientale, che, chiudendo l'anno liturgico con le quattro domeniche della "dedicazione della Chiesa", sottolinea come la comunità dei redenti dal sangue di Cristo viene presentata e offerta al Padre come corona dell'anno liturgico nel momento della sua piena glorificazione.

Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23: "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro: Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria". La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione: "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti: Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3): "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo".
La liturgia siro-occidentale sottolinea che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta a essere radunata, mentre il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la dimensione ecclesiologica della festa sono nell'icona dell'Ascensione. L'immagine è divisa in due parti ben distinte: nella parte superiore c'è Cristo assiso su un trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore c'è la Madre di Dio e gli apostoli. Dall'Ascensione fino al suo ritorno Cristo presiede la Chiesa, formata dalla Madre di Dio orante e dagli apostoli.
L'Ascensione di Cristo sigilla quindi la riconciliazione tra il cielo e la terra. Come sottolinea un testo in forma di dialogo o disputa (genere letterario molto familiare alla tradizione siriaca), testo che non fa parte della liturgia ma che ne riassume il mistero. Cielo e terra disputano tra di loro e il mistero della redenzione di Cristo riporta la pace: "Il cielo dice: In me c'è il Regno e gli angeli; e la terra dice: In me le Chiese e i giusti. Il cielo dice: In me ci sono mille e diecimila che stanno davanti al suo trono; e la terra dice: In me le assemblee e le generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo dice: In me il trono da cui esce fuoco; e la terra dice: In me l'altare dalla cui bontà esce la salvezza. Il cielo dice: In me le nuvole che portano le piogge che non hanno bisogno di fontane; e la terra dice: In me la Vergine che ha concepito senza uomo. Il cielo dice: In me il fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice: In me il calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla terra: Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare poiché i nostri abitanti sono fratelli".
Efrem il Siro collega nei suoi inni la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo: "Come un chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e pane nuovo. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Beata sei tu, o Betania: il monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non da loro ascese il Signore delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo cocchio glorioso, la nube che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva iniziato a regnare in alto e in basso".

(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)

Margherita Hack e la persecuzione degli scienziati nell’Urss comunista

Per comprendere alcuni aspetti dell'ultima fatica di Margherita Hack, "Libera Scienza in libero stato" (Rizzoli), non è utile soffermarsi tanto sui luoghi comuni, sulle imprecisioni, sulle interpretazioni storiografiche e filosofiche maliziose e spesso infondate che costellano il libro, quanto chiedersi quale sia l'idea di fondo che ha guidato l'astronoma triestina nella composizione del suo lavoro.

In questo la storia della Hack ci aiuta: non mi riferisco tanto alla sua carriera scientifica - che, pur brillante, non ne giustifica da sola la fama, di cui astrofisici ben più insigni non godono-, quanto alla sua "carriera" politica.

E' chiaro infatti che la Hack ha potuto sfondare nel mondo dei media soprattutto per le sue prese di posizione politiche, che ne hanno fatto un unicum, insieme ad Odifreddi, nel mondo così riservato e solitamente scrupoloso degli scienziati. Ebbene, la Hack compare sulla scena prima nel 1971, come firmataria, sull'Espresso, del vergognoso manifesto contro il commissario Luigi Calabresi.

Successivamente il suo nome ritorna periodicamente alla ribalta per le sue posizioni politiche, che la portano anche a candidarsi nel "Partito dei comunisti italiani". E' da qui, da questa sua fede politica, la stessa per intenderci da cui è nato il pessimo dramma su Galilei del marxista Bertold Brecht, che bisogna partire: dall'idea di stato, di scienza, di religione, proprio di questa cultura di provenienza.

Analizziamo brevemente queste idee. La prima: nella concezione marxista leninista, di derivazione hegeliana, lo Stato è un assoluto; anzi, poiché un Dio trascendente non esiste, esso è addirittura un "dio visibile". Tutto deve avvenire con lo stato, per lo stato, nello stato: siamo di fronte alla statolatria tipica della prima metà del Novecento, che ha dato all'umanità quello che tutti sappiamo. In quest'ottica lo Stato è creatore della morale. Pensiamo alla clonazione: in un'ottica non statolatrica, la clonazione è la violazione di un principio, la dignità umana, che esiste prima dello Stato, per cui esso non ha il diritto di violarla. Antigone, quindi, conta più di Creonte. Nell'ottica comunista invece, Creonte è tutto, è lui che decide cosa è bene e cosa è male, e Antigone solo un "nemico del popolo", una "controrivoluzionaria": per lei c'è il gulag, luogo in cui, come dice la propaganda, non si punisce, ma si rieduca.

Passiamo agli altri due concetti: scienza e religione. Nel pensiero marxista-leninista, il materialismo dialettico è scienza esatta. La nuova struttura economica comunista, e la scienza, saranno le forze in grado di sconfiggere la religione, "oppio dei popoli" e di dare all'uomo la vera felicità. Moltissimi testi bolscevichi insistono su questo punto: la luce della scienza sconfiggerà le tenebre e il buio della fede in un Dio trascendente e creerà il paradiso in terra. Non solo le ingiustizie sociali, ma anche le malattie verranno sconfitte e la vita prolungata quasi a piacimento. E' noto che lo stesso Stalin, sull'onda di questa dogmatica convinzione, spaventato dalla morte, cercò in tutti i modi di far produrre ai suoi medici una sorta di elisir di eterna giovinezza. Un po' come coloro che oggi promettono di poter allungare enormemente la vita umana o che affidano alle cellule staminali embrionali il ruolo di toccasana universale.

Detto questo, constatata l'origine pregiudiziale, ideologica, di molte sue convinzioni, ci rimane da chiedere alla Hack, come giustifichi, alla luce della storia, due dati di fatto innegabili. Il primo: la scienza moderna nasce dal pensiero greco e da quello cristiano. In Italia, in Europa, non in altre civiltà. In un'epoca in cui il cristianesimo è la religione dominante.

Perché, cara Hack? Astronomi come Owen Gingerich, professore di astronomia e di storia della scienza ad Harvard, autore per Lindau di "Cercando Dio nell'universo", dimostrano molto chiaramente che ogni effetto ha delle cause, e ricordano che tutti i padri della scienza moderna, da Copernico, a Galilei, a Keplero, a Newton, a Mendel, erano credenti, e che la loro fede biblica contribuì a determinare il loro atteggiamento verso la natura.

La seconda constatazione: la scienza, così esaltata nel mondo sovietico, non ha mai conosciuto una persecuzione così feroce come quella vissuta proprio in quel paese, nel paradiso del comunismo statolatrico e scientista. E' assai strano che questa verità storica sia così occultata dalla Hack e da tutti coloro che, come Odifreddi, Dawkins, Veronesi, Flamigni ecc., si ergono a paladini della scienza, dimostrando nello stesso tempo grande simpatia per il comunismo e le sue "libertà".

Eppure tutti gli storici dell'Urss mettono in luce questo fatto. Ad esempio Adam. B. Ulam, autore di "Stalin", poderoso studio sul dittatore georgiano, e Julian Huxley, celebre neodarwinista ateo, nel suo "La genetica sovietica e la scienza", raccontano come in Unione sovietica la scienza fosse sottoposta al controllo dell'autorità politica e dovesse essere conforme e compatibile col pensiero marxista.

Ogni scoperta, ogni idea scientifica era giudicata non in se stessa, ma alla luce di Marx e di Lenin. Esattamente come quando gli aristotelici negavano o ammettevano le nuove scoperte scientifiche a seconda che fossero conformi o meno al pensiero di Aristotele. Ciò comportò, per brevità, che le idee scientifiche più moderne vennero tutte respinte dai sovietici. Zdanov, fedele interprete della politica culturale di Stalin, si scagliava per esempio "contro i seguaci di Einstein e Planck", a causa della loro "assurda idea di un universo finito" e in espansione, che mal si conciliava con il dogma marxista dell'universo increato ed eterno.

Le loro idee, e quelle di molti astronomi occidentali, vennero bollate come reazionarie, sia per le implicazioni metafisiche, sia perché opera di stranieri: come potevano uomini che non vivevano nell'Urss, patria della vera felicità e dell'unica giusta visione del mondo, scoprire qualcosa di vero?

I sovietici arrivavano al punto, ricorda Robert Conquest, di attribuire a se stessi le invenzioni compiute in Occidente: l'aereo, la radio.... Zdanov e soci, scrive ancora Ulam, se la presero anche contro "gli scienziati atomici borghesi con il loro tentativo di presentare la materia come ‘semplice combinazione di onde e altre stupidaggini' ".

Infierirono inoltre contro coloro che sponsorizzavano il barometro, perché, se il servizio meterologico sovietico non era in grado di fare previsioni sul tempo, tantomeno poteva esserlo un strumento straniero. Anche la genetica moderna fu condannata in toto e i genetisti dovettero chinarsi all'orotodossia di Lysenko, garantita dal regime: Mendel era accusato di essere un monaco, un "razzista" che "predicava il fatalismo e la rassegnazione di fronte alle leggi dell'ereditarietà".

"Non solo il gene era messo al bando, continua Ulam, e il cromosoma guardato con sospetto: i più accaniti seguaci di Lysenko denunciarono anche gli ormoni e i virus come vapori metafisici della mentalità borghese". L'effetto fu che vi furono veri e propri pogrom verso i genetisti, gli astronomi e verso tanti altri ricercatori. Molti furono messi a tacere, altri eliminati, altri spediti nei gulag. Huxley ricorda alcuni nomi di scienziati, anche di fama internazionale, perseguitati: Dobzhansky, Chetverikov, Ferry, Ephroimson, Levitsky, Agol, Levit, Vavilov, Kerpecenko, Serebrovsky, Ivanov, Sasciarov ecc...Si salvarono invece quelli che dimostrarono di poter mettere il loro lavoro all'immediato servizio del marxismo, e quei fisici che furono chiamati a lavorare alla bomba atomica. Cioè ad un uso iniquo, mi permetta cara Hack, e non urli contro il mio oscurantismo, di scoperte scientifiche.

Francesco Agnoli

© Il Timone, maggio 2010